Il progetto Benessere Sonoro di Francesca Più e Paolo Farnedi ha l'intento di aprire il tuo cuore alle parole che nutrono, alla musica che culla e propaga il Sentire, tramite mantra originali e riflessioni emozionali.
È nota come Effetto della Veduta d’Insieme, quella costellazione di sensazioni che pervadono il cuore di un astronauta che abbia il privilegio di vivere l’esperienza di vedere dallo spazio la Terra nella sua interezza.
Colmi di questo senso di protezione nei confronti di un pianeta e della vita che lo abita, in molti, una volta tornati a calpestare il suolo terrestre, hanno speso la parte restante delle loro vite nel prodigarsi per un bene collettivo.
È attualità l’idea di replicare un’esperienza simile attraverso la realtà virtuale. Tra le varie motivazioni di questa proposta c’è anche quella di tentare di trarne un beneficio a livello strettamente umano: fare vivere un momento che dovrebbe cambiare la coscienza di chi lo sperimenta, risvegliando l’empatia nei confronti del prossimo.
Ma è davvero necessario vivere qualcosa di simile per poter sviluppare un sentimento di questo genere, trovando così un movente forte e nobile per adoperarsi e compiere scelte in direzione del bene comune?
Non c’è nulla che possa fungere da sostituto a questa incredibile esperienza, o che perlomeno possa essere incisiva a tal punto da toccarci profondamente, instillando in ognuno di noi un’emozione di una portata tale da rimanere indelebile?
L’esperimento di Asch
Negli anni ’50 è stato condotto un esperimento, durante il quale ad un ignaro individuo veniva chiesto di comparare la lunghezza di una linea con quella di altre tre linee proposte, ed indicare quale di queste tre linee corrispondesse in lunghezza a quella vista inizialmente.
Insieme alla persona sottoposta al test vi partecipavano contemporaneamente anche degli attori: individui complici, consapevoli della situazione. Le risposte venivano date di modo che tutti sapessero il responso degli altri.
Durante i primi turni tutti gli individui rispondevano correttamente, man mano però che si proseguiva nell’esperimento, gli attori cominciavano a rispondere volontariamente in modo errato.
Inizialmente lo stupore della persona sottoposta al test era palese, e la sua ragione lo portava a continuare a rispondere correttamente-
Ma via via che le domande proseguivano e gli attori continuavano a rispondere in coro in modo sbagliato, la volontà del povero malcapitato, che solitamente era tenuto a rispondere per ultimo o penultimo, iniziava a piegarsi, ed il desiderio di conformarsi prevaricava sulla ragione.
Si prese atto, quindi, che nella maggior parte dei casi si otteneva un’omologazione alle risposte sbagliate.
Questo risultato potrebbe ovviamente essere letto come una debolezza da parte dell’essere umano: la volontà e la ragione sono piegate al desiderio di essere accettato dalla comunità.
Cosa potrebbe scatenare le emozioni dell’effetto della veduta d’insieme?
Un’altra chiave di lettura, però, potrebbe rivelare che il desiderio di condivisione, il sentirsi parte di un tutto, del non bastare a sé stessi, sia predominante… e presente ad ogni latitudine.
L’essere umano – anche il più solitario, il più cinico, il più individualista – brama la condivisione del proprio essere, l’accettazione della propria persona, da parte anche di un solo altro individuo.
I tentativi intrapresi per ottenere questo stato sono i più disparati, dai più spregevoli ai più nobili. La matrice che li genera, però, è la medesima.
Interiorizzare l’effetto della veduta di insieme, e vederlo in sé stessi e nell’altro, può portare a provare empatia nei confronti di chi ci sta di fronte?
Sapere che intimamente e profondamente ci accomuna lo stesso desiderio ardente ed ancestrale di accettazione, non dovrebbe automaticamente portare a sentirci parte di un’unità?
Il problema è che ci focalizziamo molto di più sul modo che utilizziamo per ottenere ciò che desideriamo, e lo confrontiamo continuamente con quello che scelgono gli altri perdendo di vista l’essenza dell’intento: una sorta di competizione continua che verte sull’imposizione del punto di vista individuale, affermando le differenze a discapito del desiderio comune.
L’andare oltre e concentrarsi su quel sentimento condiviso, significa salire su un razzo spaziale, arrivare a 30000 km di altezza, e godersi il panorama che ha cambiato per sempre l’orizzonte di un piccolo gruppo di esseri umani.
Con tale consapevolezza nel cuore diventerebbe più semplice adoperarsi per un bene comune, un bene del quale beneficerebbero anche le generazioni future.
Effetto della veduta d’insieme: come la Terra… così noi
Gli occhi di un astronauta, alla vista della Terra, risvegliano un sentimento di compassione e di somiglianza con il suo pianeta: così unico, definito, piccolo, fragile, solo, fluttuante in una dimensione oscura. Non ci sentiamo forse così anche noi nei confronti della vita?
Però, nei confronti della Terra, possiamo sperimentare anche la sua essenziale affermazione di esistenza nella quale, nonostante sia un granello nell’universo, permette la vita a miliardi di creature che la abitano, e contribuisce all’equilibrio del sistema solare, e quindi della galassia, e quindi di tutto ciò che esiste.
È come se l’intero cosmo guardasse al microscopio i suoi pianeti, e noi le nostre cellule.
Un frattale continuo nel quale, finalmente, è possibile comprendere la grandezza di ciò che siamo, e che potremmo fare insieme, come organismo collettivo mosso dalla visione comune della Vita.
Se la Terra è capace di una bellezza così inenarrabile, con ogni probabilità un frammento di quella bellezza è una parte imprescindibile del nostro codice genetico.
Non potremmo forse mai comprendere il sussulto cardiaco e spirituale del pilota spaziale che guarda dall’alto il nostro pianeta, ma ciò non può – e non deve – estraniarci in una realtà distopica nella quale l’individualità è la roccaforte che ci protegge da un mondo che subiamo inermi, passivamente.
E potrebbe davvero essere sufficiente – ed allo stesso tempo necessario – comprendere che ciò che si sa non è quasi mai abbastanza per cambiare davvero le cose, e che nulla risulta essere più forte dell’emozione scaturita da un’esperienza di presa di coscienza che ci tocca personalmente nel profondo, tatuandosi indelebilmente sulla nostra pelle.
L’avere fiducia in quel frammento genetico di bellezza e credere – e crederci tutti insieme – che guardarci nella nostra interezza, e specchiarci nell’altro con le nostre fragilità, solitudini, sensi di impotenza e contraddizioni, sarà come vedersi la mano al microscopio ed ammirare miliardi di cellule che collaborano naturalmente per la propria esistenza.
Sarà come osservare il nostro pianeta con gli occhi commossi di un astronauta che ha visto, per la prima volta, la sua vera casa.
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